domenica 22 luglio 2012

22 luglio 1942: Treblinka

Il 22 luglio del 1942, 70 anni fa, cominciò lo sterminio degli ebrei di Varsavia: la così detta liquidazione del Ghetto. Lo vogliamo ricordare segnalando un paio di libri. Il primo: “Il ghetto di Varsavia lotta”, di Marek Edelman (Giuntina), le memorie del famoso resistente, scomparso, novantenne, qualche anno fa. Quel 22 luglio partì il primo treno che diede inizio alla grande deportazione verso Treblinka, dove furono sterminati, in meno di otto mesi, 800 mila ebrei. Treblinka fu un puro campo di sterminio, non aveva baracche, nessuna vittima vi trascorse una sola notte.  Il binario moriva in una finta stazione, su un piazzale dove l’omicidio poteva solo essere ritardato. Il Ghetto di Varsavia esalerà l’ultimo respiro nel maggio del 1943 dopo una disperata difesa, ma da quelle ceneri ancora fumanti stava già risorgendo il futuro del popolo di Israele, come ci ricordano le ultime parole di Mordechai Anilewicz, il comandante dell’Organizzazione di combattimento, scritte durante la battaglia: “L'ultimo desiderio della mia vita si è avverata. L’autodifesa ebraica è diventato un dato di fatto. Vendetta e resistenza ebraica sono diventati di attualità. Sono felice di essere stato uno dei primi combattenti ebraici nel ghetto. Ora, da dove ci verrà il soccorso?"
Il soccorso era ancora lontano, ma nemmeno troppo.  L’avanzata dell’Armata Rossa verso Berlino era già cominciata. Tra quei soldati c’era Vasilij Grossman, il primo scrittore e il primo ebreo combattente a trovarsi di fronte alla realtà di quella cosa che ancora non si chiamava Shoah. Per un strano gioco del destino Grossman incontrò quella realtà, che poi lo condizionerà per il resto della sua vita di scrittore e di uomo, proprio nei suoi luoghi natali, in Ucraina, a Berdicev, dove cercò invano la fossa dove era stata gettata la madre. In un articolo dell’ottobre di quell’anno lo scrittore dice di avere l’impressione di compiere un viaggio indietro nel tempo. Allontanandosi da Stalingrado, dove si era sentito pienamente uomo tra altri uomini in uno schietto senso di uguaglianza, in quel viaggio cominciò a prendere coscienza della sua identità ebraica, come diversità e problema all’interno della società sovietica. “L’inferno di Treblinka” di Vasilij Grossman, è stato ristampato da Adelphi (2011). L’autore, che può essere considerato il primo scrittore di memoria della Shoah, non operò solo in termini documentaristici, in presa diretta, per così dire, com’era naturale essendo egli corrispondente di guerra, ma con quel distacco che solo il grande artista poteva mettere in campo, fino a farne indagine delle radici del male nella storia umana. Grossman entrando al campo ci descrive il terreno sabbioso, i pini, l’erica e gli arbusti, le massicciate tristi e annerite della ferrovia, le erbacce che vi crescono intorno; il suo sguardo implacabile eppure incredulo sulla realtà dei fatti, è lo stesso che abbiamo anche noi tanti decenni dopo: lo sguardo di chi sa ormai tutto e, ugualmente, si sente senza risposte. Nonostante tutto sia scritto, semplicemente le domande non possono esaurirsi. Continueranno ad accompagnarci, anche quando se ne saranno andati gli ultimi testimoni diretti. Quando poi tra centinaia di anni di tutto questo si parlerà come di una leggenda, forse le vittime, “coloro che non ce l’hanno fatta” o “coloro che non hanno più voce”, come le chiamava lo scrittore, continueranno a parlare nei sogni. Grossman scrisse due lettere alla madre morta. La prima nel 1950 e la seconda nel settembre 1961, in due momenti critici della sua attività di scrittore alle prese con l’ostracismo del regime sovietico che lo ridusse lentamente al silenzio. “Cara Mamma, sono venuto a sapere della tua morte nell’inverno del 1944…Eppure già dal settembre 1941 sentivo nel mio cuore che te ne eri andata. Mentre ero al fronte, infatti, una volta ho fatto un sogno…”.

di Primo Fornaciari
(articolo apparso sulla Voce di Romagna del 22/7/2012)


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