martedì 11 giugno 2013

QUANDO LA BRIGATA COMBATTE’ A FIANCO DEI SOPRAVVISSUTI DELL’OLOCAUSTO

E' morto Yoram Kaniuk, scrittore, controverso intellettuale israeliano, autore dei memorabili "Il comandante dell'Exodus" e "1948". Di quest'ultimo romanzo, dedicato alla guerra d'indipendenza di Israele, a seguire, una breve recensione...


 
“1948” di Yoram Kaniuk (La Giuntina, 2012)
Secondo lo storico Y.H. Yurashalmi (Zakhor, 1982) la cultura ebraica non possederebbe una storiografia come le altre, avendo privilegiato piuttosto il tema del ricordo e della memoria. Ardua questione. Una cosa è certa, dal limite temporale del 1948 Israele torna ad essere protagonista del proprio destino all’interno della storia mondiale dei popoli, come non accadeva da duemila anni. Yoram Kaniuk, nella sua opera in prosa più apprezzata e famosa, racconta proprio questo discrimine, e lo fa da scrittore, non da storico, affrontando con la sua sensibilità di artista il difficile tema della memoria: “Non sono sicuro di quello che ricordo per davvero – così comincia a raccontare il protagonista narratore - perché non mi fido della memoria. La memoria è furba e non possiede un’unica ed esclusiva verità”; affermazione dura, che rinvia più a un approfondimento di tipo filosofico e psicologico che storiografico. La storia che Kaniuk racconta è un lungo e coinvolgente flash back. L’autore ricorda, da vecchio, la sua avventura in guerra a 17 anni. E’ un giovane di buona famiglia, ossia della piccola borghesia intellettuale di Tel Aviv; un “sabra”, cioè un nativo della Terra d’Israele, con tutto l’orgoglio che questo comporta. Assieme ad altri compagni si nutre di poesia e del mito di Masada. Una gioventù bella, dura e spinosa come un fiore di deserto, che in quel breve giro di anni si rende conto della realtà della persecuzione europea da cui provengono padri, realtà che riconosceranno poi sul volto dei sopravvissuti all’Olocausto: “…eravamo pionieri noi, lavoro ebraico, ebrei parlanti ebraico, e saremmo andati nei kibbutz, avremmo fatto fiorire il deserto…avremmo sconfitto i nostri aggressori. Avremmo cacciato gli inglesi. Saremmo diventati eroi…Tutto pur di non diventare curvi di paura e brutti come quegli ebrei lì – così dicevamo. Che stupidi bambini che eravamo!”.

In mezzo stanno i fatti del 1948, quando questi giovani si trovarono a fondare uno Stato; che però, a loro insaputa, per la frattura generazionale che si era prodotta con il loro passato europeo, forse era uno Stato voluto dai vecchi: “uno Stato per le loro famiglie sterminate…uno Stato per i loro morti”. Ma che cos’è uno Stato? Quale Stato costruire? Domande difficili a cui dare risposta a diciassette anni, quando il cuore corre verso gli ideali, come quello di salvare i clandestini che arrivano via mare; l’ideale del giovane protagonista, che invece si trova non in mare, ma a terra, sulle colline tra Tel Aviv e Gerusalemme, a sparare contro gli arabi. Quella di Kaniuk non è una esatta ricostruzione storica. La guerra d’Indipendenza di Israele si combatté in diverse fasi, scandite da cessate il fuoco imposti dalla comunità internazionale, fu molto più complessa – e tutto sommato eroica – del resoconto dell’autore. Si passò dal rischio di capitolazione della giovane entità ebraica, in seguito all’invasione degli eserciti arabi coalizzati, alla progressiva presa di fiducia e rafforzamento della capacità militare di difesa, in una maniera che ha quasi del miracoloso (ma, se si guarda alle responsabilità umane, dovuta in larga parte alla mancanza di coordinamento degli eserciti arabi scesi in campo, e alle loro singole avidità di annettersi un pezzetto di Palestina ex-britannica). Quella di Kaniuk non è una esatta ricostruzione degli eventi del 1948. Il suo non è un romanzo storico. E’ un romanzo poetico, che usa la tecnica dello “stream of consciousness” per descrivere lo smarrimento del protagonista in mezzo agli eventi, in balia della battaglia, tra sangue e morti, paura e stanchezza. Ne esce un grido profetico contro la guerra, senza età e senza luogo, valido per sempre, e perciò meritevole di essere letto per generazioni. Un percorso onirico di grande impatto emotivo, anche se lo sguardo dell’autore oggi, 64 anni dopo, è lucido e disincantato su quei fatti: “Non voglio ora entrare nei singoli episodi, – dice Kaniuk riguardo all’approccio eccessivamente critico verso Israele dei “nuovi storici” israeliani - i fatti sono semplici, gli arabi non ci volevano, ci attaccarono, e noi abbiamo combattuto” (Intervista a Susanna Nirenstein su La Repubblica del 27/05/2012). Il 1948 fu un punto di incontro tra passato e futuro di Israele. L’aver retto all’urto dell’attacco nemico compattò le fila dei partiti ebraici, determinò la fine dell’opposizione più dura e terroristica contro gli inglesi, e la nascita della moderna Forza di Difesa che garantirà l’esistenza di Israele fino ad oggi. Il 1948 segnò anche il punto d’incontro tra il passato e il futuro del popolo ebraico. In quella guerra infatti si trovarono a combattere spalla a spalla gli ex combattenti della Brigata Ebraica e i sopravvissuti dell’Olocausto, molti dei quali, scampati alle camere a gas di Hitler, caddero in combattimento accanto ai giovani sabra per la rinascita della patria ebraica.

Di Primo Fornaciari (articolo apparso su “La Voce di Romagna” del 6/2/2013)