Queste sono le storie raccontate da Gregorio Caravita nel suo libro “Ebrei in Romagna. Dalle leggi razziali allo sterminio (1938-1945)”, oggi ristampato dopo oltre vent'anni dall'editoreLongo di Ravenna. Sono storie di persone svanite nella nebbia del tempo, sparite nell'ingranaggio dell'Olocausto senza lasciare segni e testimonianze, senza voce. Proprio di questi annientati chiedeva di parlare Vasilij Grossman, il pioniere di questo filone di storiografia, quando diceva che “bisogna dare voce a chi non ce l'ha fatta!”. E Caravita è stato tra i primi qui in Romagna a rispondere all'appello dolente del romanziere sovietico, e raccogliere queste storie perdute: “Ben poco è rimasto degli ebrei in Romagna: una decina di famiglie... Pressoché nulla è noto. Sono scomparsi come ombre”.
Il libro di Caravita, che si può considerare un classico, ricostruisce la storia millenaria della presenza ebraica in Romagna e illustra il quadro sociale e culturale in cui avvenne la persecuzione, (riportando anche i numerosi casi di aiuto e sostegno forniti dai singoli cittadini, laici e religiosi).
La passione dell'autore come trapela dalle pagine gli deriva dall'avere aderito a questo tema con l'impegno civile, in un periodo (i primi anni '90) in cui si sapeva ancora relativamente poco di queste vicende. Grazie al suo impegno esiste a Ravenna una lapide che ricorda, insieme ai perseguitati, i soldati liberatori della Brigata Ebraica. Una famiglia contadina di Riolo gli affidò un ricordo conservato per anni: era il mattino della liberazione, dopo i lunghi e dolorosi mesi di assedio, quando una pattuglia di soldati alleati si affacciò alla porta della loro casa. E quei soldati dissero: “Ricordatevi che siamo della Brigata Ebraica”.
(Di Primo Fornaciari, da “La Voce di Romagna” del 22 dicembre 2013)